1. Premessa
2. La procura
3. L’inabilitazione
4. L’interdizione
5. L’amministrazione di sostegno
1. Premessa
La malattia di Alzheimer comporta inevitabilmente menomazioni di natura fisica o psichica che rendono inizialmente soltanto difficoltoso per il malato svolgere le normali attività quotidiane e le operazioni di carattere economico, tributario, finanziario, commerciale, giuridico indispensabili per la cura dei propri affari o per l’assolvimento dei propri doveri, ma in tempi successivi fatalmente comportano l’impossibilità, per mancanza di autonomia fisica o di capacità psichica, di compiere qualsivoglia attività.
E’, quindi, utile, e in alcuni casi necessario, che il malato si avvalga di un strumento civilistico di protezione che, con l’intervento di un’altra persona, lo metta in grado di compiere tutto ciò che non può più effettuare personalmente.
Nei primi stadi della malattia, quando le facoltà intellettive sono deteriorate ma non del tutto compromesse, il malato può attribuire ad altro soggetto il potere di agire in suo nome e per suo conto mediante una procura.
2. La procura
Articoli 1387-1399 codice civile
La procura, che deve essere rilasciata per iscritto, può concernere uno o più affari, che vanno specificamente indicati, e può essere anche generale, nel qual caso al procuratore viene attribuito il potere di compiere tutti gli atti, anche di straordinaria amministrazione se dettagliatamente precisati, utili o necessari nell’interesse del malato.
E’ consigliabile che la procura venga conferita ad una persona di famiglia ( moglie, figlio, genitore o altro parente ) o ad altra persona di fiducia e con la forma dell’atto pubblico, preferibilmente notarile.
La procura può essere data ad una o a più persone; nel secondo caso è necessario specificare se i procuratori devono operare congiuntamente o hanno la facoltà di agire disgiuntamente. Essa è sempre revocabile dal malato, sempre che sia ancora capace di intendere e di volere; se non revocata, resta valida anche se il malato diventa incapace a meno che venga interdetto.
I limiti di questo strumento di protezione sono ovvi. Il rilascio di una procura è utile per riscuotere pensioni, effettuare pagamenti, concludere contratti, vendere beni, amministrare un patrimonio, gestire una impresa, ecc., ma non costituisce un rimedio idoneo a provvedere alle esigenze quotidiane, specialmente assistenziali, del malato.
Un altro istituto di tutela, previsto dal nostro ordinamento giuridico, è l’inabilitazione.
3. L’inabilitazione
Articoli 415-432 codice civile
L’inabilitazione – che può essere chiesta dalla stessa persona interessata, dal coniuge, dalla persona stabilmente convivente, dai parenti, dagli affini, dal pubblico ministero e da altri soggetti – presuppone che l’interessato sia affetto da una infermità di mente non talmente grave da dare luogo alla interdizione o che l’interessato, a causa di prodigalità, di abuso abituale di bevande alcoliche o di sostanze stupefacenti, possa arrecare a sé o alla propria famiglia gravi pregiudizi economici.
A seguito della domanda si instaura un procedimento dinanzi al tribunale civile che si conclude con una sentenza di inabilitazione, se ne ricorrono le condizioni. Questa pronuncia comporta una incapacità di agire relativa dell’interessato, che può operare soltanto con l’assistenza di un curatore nominato dal giudice.
Il ricorso a questo mezzo di tutela comporta che il malato di Alzheimer deve pur sempre compiere personalmente tutte le attività necessarie nel suo interesse, anche se con l’intervento del curatore; quindi egli non può avvalersi dell’istituto della inabilitazione quando non può agire a causa di menomazioni di natura fisica o psichica sia pure non gravi oppure a causa di situazioni, purtroppo frequenti, caratterizzate da un semplice stato di indecisione o da apatia. Peraltro l’istituto comporta una protezione soltanto sul piano patrimoniale, non avendo il curatore compiti di cura personale dell’inabilitato.
Negli ultimi stadi della malattia, quando le menomazioni, specie di natura psichica, sono talmente avanzate da determinate la perdita della capacità di intendere e di volere, quindi della capacità di agire, sorge per il malato la necessità assoluta di fare ricorso ad altri istituti di protezione civilistica.
Uno di questi, il più tradizionale, è l’interdizione.
4. L’interdizione
Articoli 414-432 codice civile
L’interdizione – che può essere promossa dallo stesso interessato, dal coniuge, dalla persona stabilmente convivente, dai parenti, dagli affini, dal pubblico ministero e da altri soggetti – presuppone l’assoluta inidoneità della persona a curare i propri interessi a causa di infermità mentale abituale. Questa inidoneità, e le relative cause, sono accertate, a seguito di un complesso e dispendioso procedimento, dal tribunale civile che pronuncia l’interdizione con sentenza, che comporta l’incapacità legale di agire della persona interdetta, cui è del tutto preclusa la possibilità di compiere atti giuridici di qualsiasi natura. Agli interessi dell’interdetto provvede un tutore che, sotto la sorveglianza del giudice tutelare, amministra il patrimonio dell’incapace e risponde verso di questo di ogni danno cagionato violando i propri doveri.
Questo strumento di protezione, tranne casi particolari, non è adeguato alle esigenze di vita di un ammalato lungodegente o di una persona affetta dalla malattia di Alzheimer.
La privazione della capacità giuridica di agire, conseguente alla pronuncia del giudice, impedisce al malato di compiere atti rilevanti di natura strettamente personale, come sposarsi, divorziare, fare testamento, riconoscere un figlio naturale e simili. Inoltre essa comporta ovvi riflessi negativi sul piano sociale per il malato e per la sua famiglia, essendo l’interdizione percepita come una vera e propria morte civile.
Più rilevante è la considerazione che l’interdizione non è idonea a sopperire alle più elementari esigenze della vita del malato. Basta pensare ai continui problemi assistenziali e sanitari nonché alle piccole e grandi incombenze quotidiane, alla cui soluzione o al cui soddisfacimento ben difficilmente potrebbe provvedere il tutore.
Resta un altro strumento di protezione, l’amministrazione di sostegno, introdotto nel nostro ordinamento con la legge 9 gennaio 2004 n. 6.
5. L’amministrazione di sostegno
Articoli 404-413 codice civile
Questo nuovo istituto risponde alle esigenza di tutelare gli interessi delle persone che si trovano nella incapacità, anche parziale o temporanea, di provvedere personalmente a compiere le attività quotidiane e a curare i propri affari, senza limitarne o annullarne la capacità giuridica di agire, come si verifica nel caso della inabilitazione o della interdizione. Ed è significativo che la sua finalità primaria è la cura delle condizioni di vita personale e sociale e degli interessi della persona priva in tutto o in parte di autonomia, destinataria della tutela.
L’utilità dell’amministrazione di sostegno può essere valutata tenendo conto delle caratteristiche dell’istituto:
A) La nomina di un amministratore di sostegno può essere chiesta dallo stesso interessato, dal coniuge, dalla persona stabilmente convivente, dai parenti entro il quarto grado, dai suoceri, dal tutore o curatore, dal pubblico ministero, dai responsabili dei servizi sanitari e sociali, senza che sia necessaria l’assistenza di un avvocato.
B) La domanda, da inviare al giudice tutelare del tribunale civile nel cui territorio risiede il malato, deve contenere l’indicazione delle attività materiali, economiche, giuridiche che non possono essere svolte dal beneficiario nonché la designazione della persona da nominare amministratore; se manca l’indicazione dell’amministratore, la scelta viene fatta dal giudice tutelare. La nomina può esser chiesta anche per il compimento di una sola attività.
C) L’amministrazione di sostegno è gratuita. Il giudice tutelare può riconoscere all’amministratore un rimborso delle spese e, in casi speciali, anche un equo indennizzo in considerazione delle difficoltà dell’amministrazione.
D) Il giudice tutelare sceglie l’amministratore di sostegno con esclusivo riguardo alla cura e agli interessi della persona del beneficiario, tenendo conto della volontà espressa da chi ha proposto la domanda, e determina la durata e le condizioni dell’incarico nonché il relativo oggetto, cioè gli atti che l’amministratore ha il potere di compiere per conto del malato e quelli che possono essere compiuti personalmente dal beneficiario con la sua presenza. Il decreto di nomina stabilisce anche i limiti di spesa, gli obblighi dell’amministratore e i rapporti che questo deve intrattenere con il giudice.
In caso di necessità, a seguito di mutamento dei bisogni del beneficiario, le misure di protezione possono essere cambiate.
E) Il beneficiario conserva la capacità giuridica di agire sia per le attività relative alla vita quotidiana sia per tutto ciò che, in base al decreto del giudice tutelare, non è riservato all’amministratore di sostegno.
F) L’amministrazione è sottoposta al controllo del giudice tutelare, che può intervenire di ufficio o su richiesta di uno dei soggetti legittimati a chiedere la nomina dell’amministratore, e in ogni caso può emettere provvedimenti di urgenza.
G) L’amministratore, in caso di disaccordo con il beneficiario, deve informare il giudice tutelare che provvede a dirimere il contrasto.
H) Gli atti compiuti dall’amministratore di sostegno in violazione di leggi o dei poteri attribuitigli da giudice tutelare possono essere annullati su richiesta dell’interessato e delle altre persone legittimate. L’amministratore risponde del danno arrecato al beneficiario.
Queste peculiarità fanno dell’amministrazione di sostegno lo strumento di tutela più adeguato alle esigenze del malato di Alzheimer, a causa della celerità e semplicità del procedimento, della facile modificabilità dell’oggetto e delle condizioni dell’incarico conferito all’amministratore, della sua possibile utilizzazione per scopi limitati o temporanei.
I doveri dell’amministratore di sostegno
L’amministratore.
• E’ tenuto a rispettare e ad assecondare la volontà della persona a lui affidata, a tenere conto e a soddisfare i suoi bisogni.
• Deve informare il beneficiario di tutto quanto egli compie nel suo interesse.
• Deve comunicare al giudice tutelare eventuali istanze del beneficiario ed ogni cambiamento delle condizioni di vita e di autonomia dello stesso.
• Deve amministrare il patrimonio del beneficiario con diligenza e deve rendere il conto della gestione.
• Deve riferire periodicamente al giudice tutelare sull’attività svolta nell’interesse del beneficiario.
I poteri dell’amministratore di sostegno
Premesso che i poteri dell’amministratore sono specificamente indicati con il decreto di nomina, all’’amministratore può essere attribuito il potere di:
• Affiancare puramente e semplicemente il beneficiario nello svolgimento delle sue attività, senza sostituirlo in tutto.
• Sostituire il beneficiario in qualità di rappresentante in ordine ad un solo atto o ad alcuni atti di natura patrimoniale o non patrimoniale ( es. firmare una domanda di divorzio, rinunziare ad una eredità, , prendere decisioni in materia di separazione personale, ecc. ).
• Esprimere il “consenso informato” ai trattamenti sanitari in nome e per conto del beneficiario.
• Compiere atti specifici in giudizi civili e penali.
In sede di prima applicazione dell’istituto sono sorti problemi pratici circa i limiti della possibilità del ricorso all’amministrazione di sostegno.
Una delle questioni ha riguardato l’ammissibilità del ricorso per la nomina dell’amministratore di sostegno nel caso in cui il possibile beneficiario non possa muoversi o esprimersi in modo assoluto e, quindi, sia del tutto incapace di agire.
I giudici tutelari di alcuni tribunali si sono orientati per la inammissibilità del ricorso, privilegiando la scelta della inabilitazione o della interdizione.
Per risolvere la questione è intervenuta dapprima la Corte Costituzionale che con la sentenza n. 440 del 9 dicembre 2005 ha chiarito che il giudice tutelare, soltanto se non ravvisi interventi di sostegno idonei ad assicurare all’incapace la protezione consentita con la nomina dell’amministratore di sostegno, può ricorrere alle ben più invasive misure della inabilitazione e della interdizione.
Sull’argomento si è poi pronunciata la Corte di Cassazione con la sentenza n. 13584 del 4 aprile-12 giugno 2006 che, sulla scia della strada segnata dalla Corte Costituzionale, ha statuito che il giudice tutelare, nella scelta fra i vari istituti di protezione, deve tenere conto in primo luogo delle finalità dell’amministrazione di sostegno, cui si deve accedere ogni qual volta sia possibile tutelare, con la minore limitazione possibile della capacità di agire , le persone prive, in tutto o in parte, di autonomia nell’espletamento della funzioni della vita quotidiana; in secondo luogo del tipo di attività che deve essere compiuta per conto del beneficiario e della gravità e durata della malattia. Se non risulta necessaria una limitazione generale della capacità di agire del beneficiario, deve essere preferita l’amministrazione di sostegno. Se, invece il beneficiario – che parimenti si trovi in condizioni di abituale infermità che lo rendano incapace di provvedere ai propri interessi – non è in grado di gestire un’attività di una certa complessità, da svolgere in diverse direzioni, oppure nei casi in cui appare necessario impedire al soggetto da tutelare di compiere atti pregiudizievoli per sé, è preferibile il ricorso alla inabilitazione o alla interdizione.
Ancora la Corte di Cassazione con la sentenza n.4866 del 1/3/2010 ha chiarito che “l’ambito di applicazione dell’amministrazione di sostegno va individuato con riguardo non già al diverso, e meno intenso, grado di infermità o di impossibilità di attendere ai propri interessi del soggetto carente di autonomia, ma piuttosto alla maggiore idoneità di tale strumento ad adeguarsi alle esigenze di detto soggetto, in relazione alla sua flessibilità e alla maggiore agilità della relativa procedura applicativa“.
In conclusione, e per quanto interessa, la persona affetta dalla malattia di Alzheimer può beneficiare della amministrazione di sostegno anche negli ultimi stadi della malattia, quando si trova nella assoluta impossibilità di provvedere ai propri interessi, purché le attività che dovrebbe compiere in sua vece l’amministratore non siano di particolare complessità (ad es. la gestione di una impresa commerciale o di un patrimonio differenziato), oppure le condizioni sociali espongano il malato più facilmente al compimento di atti pregiudizievoli ovvero ancora ricorrano situazioni di particolare gravità che dovrà essere il giudice a valutare.
Sergio Cardillo